Psicologo Clinico e Psicoterapeuta, A.O.U. San Luigi Gonzaga (Torino)
Psicologa e Psicoterapeuta, A.O.U. Città della Salute e della Scienza (Torino)
Per rispondere a questa domanda è importante sottolineare sia aspetti di decisione personale che questioni di ordine legislativo.
Abbiamo visto alcuni aspetti della comunicazione della malattia ai propri cari. Il tema della comunicazione della FC, ampio e continuamente dibattuto, viene affrontato nel mondo scientifico sia sul piano psicologico che sul piano legale.
Ad esempio, all’interno della Carta dei Diritti dei malati di Fibrosi Cistica – Edizione 2017, scaricabile dal sito della Lega Italiana Fibrosi Cistica. Proprio il fatto che esista una carta dei diritti presuppone l’affrontare il tema, delicato e personale, anche dal punto di vista della tutela legale, oltre che della promozione della qualità di vita. Tale aspetto è ugualmente importante sia in età pediatrica che in epoca adulta, seppur con esigenze e sfumature diverse.
Più del 50% delle persone con FC, ad oggi, ha raggiunto la maggiore età, ha transitato dal centro specialistico pediatrico a quello per l’adulto e/o ha cambiato équipe di riferimento all’interno dello stesso centro e deve affrontare oltre al tema del proseguo delle cure anche aspetti inerenti al proseguo scolastico e/o l’inserimento lavorativo. Identificare nelle organizzazioni, sanitarie e scolastiche, le risorse per rispondere ai bisogni assistenziali ed educativi delle persone con FC appare di primaria importanza.
Questo articolo non ha uno scopo esaustivo, non è un vademecum, ma ha come unico obiettivo di fornire qualche informazione in più e qualche spunto di riflessione ad ogni lettore.
- Tempo giusto e modi giusti per dirlo a chi vogliamo bene: questione di comunicazione
Questo tema è fortemente connesso e determinato da aspetti psicologici: cosa comunichiamo, il modo in cui lo facciamo, le persone che vengono identificare come le “prescelte”, dipendono da quanto e come vogliamo svelarci agli altri o piuttosto nasconderci.
Abbiamo affrontato il concetto del mettere in comune in comunicazione, perché comunicare significa rendere noto, ma anche rendere partecipi, condividere qualcosa di nostro. Rendere partecipi gli altri per noi significativi della nostra malattia implicitamente significa anche poter esprimere un sentimento o un’emozione connessa alla FC o a un momento di difficoltà.
- Quanto, cosa e come dirlo: ognuno a modo suo, ogni scelta è valida
Gli aspetti del comunicare “notizie personali e sensibili” dipendono da molteplici fattori, in primis da come abbiamo visto gestire le comunicazioni, ovvero cosa abbiamo imparato, per esempio in ambito familiare fin dai primi anni di vita. Quanto e cosa comunichiamo richiama ad aspetti del carattere, dalla struttura di personalità. Qualcuno si vergogna, altri temono di suscitare negli altri sentimenti di pena; altri ancora invece fanno della propria malattia un biglietto da visita, che presentano nel momento stesso in cui ci si approccia agli altri. La FC è una malattia “invisibile” e come tale permette tutti gli scenari appena citati.
Si apre anche un discorso rispetto alla fiducia ed il mettersi alla prova: darsi il permesso di parlare di determinati argomenti con le persone per noi speciali, di vivere determinate emozioni e cercare, tra pari, un atteggiamento empatico di condivisione, di aiuto, deve sempre essere determinato da scelte proprie e rispettando i propri tempi. Nulla è un obbligo o un’imposizione, però nulla è anche un difetto o una critica alla persona. È importante sentirsi rassicurati dal fatto che qualcuno può condividere con noi un peso che portiamo o una preoccupazione che ci tedia: rinforza le risorse presenti (tutti ne abbiamo!) e normalizza le reazioni emotive, in quanto è normale sentirsi tristi, arrabbiati o preoccupati in certi momenti.
Si comunica anche in base al proprio stile di risposta psicologica alla gestione delle sofferenze, quindi, in modo sicuro, evitante o ritirato in base al proprio stile di attaccamento, ossia al rapporto che abbiamo avuto dalla nascita con le figure genitoriali. Ognuno ha anche le proprie strategie cognitive di coping per superare ostacoli e difficoltà. Naturalmente non esistono linee guida, o momenti prestabiliti, o doveri di comunicare, in termini di condivisione, la propria malattia, ma esiste il “qui e ora”. Ovvero, il momento attuale, diverso per ognuno, l’adesso del “me la sento di comunicarti cosa vivo e come affronto la mia FC”.
- Quando si parla di comunicazione assertiva?
Questo concetto apre un grande capitolo del comunicare notizie “sensibili”. Il Vocabolario Zingarelli, definisce assertività come “la qualità di chi è in grado di far valere le proprie opinioni e i propri diritti pur rispettando quelli degli altri”. Implica la capacità e il diritto di esprimere chiaramente, con tatto ed efficacia, desideri, bisogni e opinioni, per accrescere la nostra autostima e per non sottrarre agli altri il nostro punto di vista. Chi è capace di assertività ascolta gli altri, è franco nell’espressione delle proprie difficoltà, bisogni e sentimenti, desideri, riconosce agli altri il “diritto di avere opinioni diverse” nel rispetto di sé stessi e degli altri.
- A scuola è obbligatorio comunicare che ho la FC?
Sì, quando la comunicazione è connessa alla gestione della FC.
Come recita la Carta dei Diritti dei malati di FC, appunto, la somministrazione dei farmaci in orario scolastico viene garantita per gli alunni per le quali è necessaria una terapia farmacologica, dunque è indispensabile effettuare una comunicazione formale.
La richiesta deve essere presentata dai genitori dell’alunno, sulla base di una certificazione da parte del medico curante, in cui sia specificata la patologia e la posologia del farmaco da assumere.
A livello giuridico il MIUR, in collaborazione con il Ministero della Salute, ha redatto nel 2005 le Linee Guida utili a definire l’assistenza di studenti che necessitano di somministrazione dei farmaci in orario scolastico, al fine di tutelarne il diritto allo studio, la salute ed il benessere all’interno della struttura scolastica. Seppur non impositive, queste “Raccomandazioni” sono molto chiare nel dare alle istituzioni scolastiche le soluzioni sia organizzative che tecniche per poter garantire, a tutti gli studenti, il diritto sia alla prosecuzione delle terapie senza che questo comporti necessariamente il doversi assentare da scuola, sia evitare ai genitori di allontanarsi dal lavoro per somministrare al proprio figlio le necessarie terapie in orario scolastico. Proprio a tal fine le linee guida forniscono suggerimenti importanti sia su quali operatori scolastici possono essere individuati per la somministrazione e preparazione delle terapie necessarie, sia su come potersi dotare di personale esterno da destinare a questa mansione qualora non vi sia personale disponibile all’interno della scuola. Infine, indicano chiaramente le modalità che i genitori e gli stessi operatori scolastici devono seguire per avviare questo tipo di collaborazioni.
Leggi anche l’articolo: Quali sono i miei diritti?
- E al lavoro?
In caso di disabilità riconosciuta, è inevitabile la comunicazione, per l’esercizio del diritto al collocamento obbligatorio. Il collocamento lavorativo – recita sempre la Carta dei diritti – dei cittadini disabili è regolamentato dalla Legge 68/1999 (precedente normativa – L.482/68 sul collocamento obbligatorio). La Legge 68/99 ha come finalità la promozione dell’inserimento al lavoro e della integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato. La persona che abbia ottenuto detto riconoscimento, che è disoccupato e che aspira ad una occupazione conforme alle proprie capacità lavorative si iscrive in un elenco tenuto dalla commissione provinciale per le politiche del lavoro. Tale commissione annota in una scheda intestata a ciascun invalido le capacità lavorative, le abilità, le competenze e le inclinazioni, nonché la natura e il grado della minorazione e analizza le caratteristiche dei posti da assegnare, favorendo l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro.
Anche le disabilità già accertate in base alla precedente normativa (L.482/68) devono, ai fini dell’inserimento lavorativo, essere certificate dalla Commissione prevista dalla Legge n.68/99, su richiesta dell’interessato da presentare alla segreteria della commissione tecnica di accertamento, tramite modulo predisposto dagli uffici della ASL e disponibile anche presso i Centri per l’Impiego.
I datori di lavoro possono assumere personale aventi diritto al collocamento obbligatorio facendone richiesta di avviamento ai competenti uffici del lavoro, oppure attraverso la stipula di convenzioni. Un obbligo del datore di lavoro è quello di assegnare i compiti lavorativi tenendo conto delle capacità e delle condizioni dei lavoratori in rapporto alla loro salute e sicurezza (D. Lgs.626/1994, Art 4, punto 5 lettera c). Anche l’aspetto lavorativo, come quello scolastico, è garantito da riservatezza.
Salute sessuale e procreazione: vissuti, consapevolezza e responsabilità
Dott.sse Alessia Grande e Cristiana Risso – Affrontare una tematica così delicata come la salute sessuale e la procreazione ha fondamentalmente due obiettivi.
Fibrosi Cistica e benessere psicologico
Dott.sse Alessia Grande e Cristiana Risso – Gli attuali dati demografici e clinici sulla Fibrosi Cistica dimostrano che l’immagine della malattia è molto cambiata negli ultimi vent’anni.