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La comunicazione ha diverse sfaccettature. Pensare che questa si riduca solo a uno scambio di informazioni accende il rischio di sottovalutarne altri aspetti altrettanto importanti.

La comunicazione, dal latino “mettere in comune, far partecipe” nella sua prima definizione è l’insieme dei fenomeni che comportano la distribuzione di informazioni. Facciamo riferimento, quindi, a quella fitta rete di scambi di notizie, ma anche di relazioni sociali, che coinvolgono ogni essere vivente nella sua vita quotidiana.

La conversazione è come un viaggio con uno scopo e lo scopo deve essere pianificato. “Una persona che comincia senza meta generalmente non arriva da nessuna parte” (Dale Carnegie, scrittore e insegnante statunitense).

Le persone, attraverso la relazione, si trasmettono non solo informazioni, ma anche cosa pensano di ciò che dicono, del fatto che lo stanno dicendo proprio in quel momento e a quelle persone, cosa provano nel dirlo e, oltre al messaggio vero e proprio, anche emozioni, pensieri e idee.

La Scuola di Palo Alto (una corrente psicologica statunitense che trae il suo nome dalla località californiana dove sorge il Mental Research Institute), negli anni ’60, definì la funzione pragmatica come la capacità di provocare degli eventi nei contesti di vita attraverso l’esperienza comunicativa nella sua forma verbale e in quella non verbale. Inoltre, definirono le proprietà della comunicazione e gli assiomi utilizzabili a fini diagnostici. Il primo assioma “è impossibile non comunicare” sottolinea come qualsiasi interazione, qualsiasi comportamento e atteggiamento umani siano una forma di comunicazione. Tutto diventa portatore di un significato per gli altri e ha dunque valore di messaggio. Anche il silenzio, dunque, come l’indifferenza, la passività e l’inattività, sono comunicativi.

Anche, può esserlo, ma non solo! È bene sottolineare che linguaggio e comunicazione non vanno di pari passo: esiste la possibilità di comunicare senza linguaggio ed esiste la possibilità di un uso non comunicativo del linguaggio se, come diceva Platone, “pensare è un dialogo dell’anima”.

Il secondo assioma della comunicazione sottolinea come, in un messaggio, si possa distinguere sia un livello di contenuto sia uno di relazione. Esiste dunque qualcosa oltre la trasmissione di informazione e dati, un livello meta-comunicativo ove la relazione interpersonale ha un notevole peso. Altro aspetto notevolmente condizionante è poi il contesto dove avviene l’interazione.

Nello scambio comunicativo umano si può utilizzare una comunicazione verbale, vocale o scritta, e una comunicazione non verbale, para-linguistica e non vocale. Quest’ultima riguarda linguaggi silenziosi come quello dei segni, dell’azione, degli oggetti. Esempi sono l’apparenza fisica, l’abbigliamento, la postura, l’orientamento nello spazio, la mimica facciale e la distanza interpersonale. I canali attraverso cui viaggia l’informazione sono molteplici: visivo, uditivo, olfattivo, tattile, prossemico. La comunicazione non verbale è molto più autentica di quella verbale, molto più difficile da controllare e lascia filtrare contenuti profondi senza che vi sia la consapevolezza del soggetto che comunica.

Lo scopo dipende dal contesto. In ambito sanitario dovrebbe servire a raccogliere informazioni, favorire l’interazione, costruire una relazione terapeutica, educare alla salute e alla gestione dei comportamenti a rischio.

La comunicazione in ambito ospedaliero non è diversa: scopri di più.

Fonti

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