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Come abbiamo visto, la comunicazione ha diverse sfaccettature. Quando comunichi con il personale del Centro e ospedaliero puoi tenerne conto, per stabilire una buona relazione che ti valorizzi come persona, oltre che come paziente, e che miri a costruire un rapporto di fiducia con i tuoi curanti.

Quando sei in ospedale, le regole e gli attori della comunicazione sono specifici e dunque c’è la necessità di “buone strategie di comunicazione”. L’obiettivo generale è comprendere ed essere compresi ma, in particolare rispetto alla Fibrosi Cistica, comprendere ed essere compresi è fondamentale: spesso le parole che si usano hanno un effetto diverso nella persona da quello presunto, possono suscitare speranza, rassicurazione, chiarezza o paura e confusione. Possono indurre al silenzio o all’esaurimento delle domande senza che a questo corrisponda sempre una reale comprensione del problema affrontato. Ogni comunicazione poi non è esentata da aspetti emotivi e questi, consapevolmente o no, circolano nella comunicazione.

Nella psicologia della comunicazione vige la regola per cui lo zero non esiste, o meglio anche lo zero ha un valore, un significato. Non posso non comunicare: così una parola non detta, un gesto non fatto, rappresentano comunque una comunicazione, perché veicolano in ogni caso un messaggio. È sufficiente considerare il silenzio dopo una lite per capire che sia impossibile non comunicare: l’ostentato comportamento dello stare zitti (comportamento spesso accompagnato da un linguaggio non-verbale evidente) costituisce un messaggio veicolato all’interlocutore. Una lettera non spedita, un appuntamento saltato, un invito a cui non si risponde, la non-partecipazione ad una riunione, sono soltanto alcuni esempi della vita quotidiana in cui il valore comunicativo del comportamento è elevato. Secondo la psicologia della comunicazione, l’uomo, qualunque cosa faccia, non può fare a meno di emettere comportamenti. In qualunque modo decidiamo di comportarci comunichiamo in ogni caso. Questa è la prima regola o assioma della comunicazione: non si può non comunicare.

Molte persone pensano che la comunicazione interpersonale sia un processo lineare come mandare una lettera. Purtroppo, le cose sono un po’ più complesse. Se parli con un’altra persona stai traducendo i tuoi pensieri in parole per mandare un messaggio all’altro. Questa persona, a sua volta, sentirà il tuo messaggio e lo interpreterà. Alla fine, traduci pensieri in suoni che articoli con la bocca e poi il tuo interlocutore interpreterà questi suoni trasmessi dall’aria fino ai suoi timpani. Insomma, la comunicazione è simile a un telefono senza fili. È inevitabile che in una conversazione alcune cose vengano fraintese o neanche sentite. Magari l’altro era involontariamente distratto, c’era del rumore o stava pensando ad altro o semplicemente a cosa dire dopo. Non si verifica, dunque, una semplice trasmissione.

Le comunicazioni possono essere di tipi simmetrico, in cui i soggetti che comunicano sono sullo stesso piano (ad esempio: gruppo di amici, compagni di classe, moglie/marito) e di tipo complementare, ovvero, non sullo stesso piano (mamma/bambino o dipendente/datore di lavoro, ad esempio). Questo è l’ultimo assioma della comunicazione. Gli scambi comunicativi con i curanti sono complementari e si caratterizzano per il “prendersi cura”. Proprio per tale ragione la comunicazione è un aspetto di fondamentale importanza.

La capacità di una persona di immedesimarsi in un’altra, di calarsi nei suoi pensieri e nei suoi stati d’animo si chiama, appunto, empatia. Ma non è l’approvazione dei sentimenti dell’altro, bensì la comprensione e l’accettazione di ciò che l’interlocutore sente, perché questo è il suo stato d’animo nel momento attuale. Quindi sarebbe opportuno, per una comunicazione efficace, che l’empatia facesse parte del processo e dell’interazione. Soprattutto a livello cognitivo, in un contesto di cura, ovvero nella possibilità di vedere la realtà dal punto di vista dell’altro. Le persone, infatti, hanno bisogno di sentire se stesse e le loro emozioni considerate: questi aspetti sono pratiche di buona comunicazione.

Quando ti rechi in ospedale per la visita di controllo potrebbe essere buona prassi arrivare “preparato”. In che senso? Nel corso degli anni forse sono stati più i tuoi genitori ad intrattenere rapporti comunicativi con i tuoi curanti. Fino a 10/12 anni erano i tuoi genitori a spiegare i tuoi sintomi, a raccontare durante la visita se ti eri alimentato correttamente, se avevi avuto un aumento della tosse e/o dell’escreato. A mano a mano che sono trascorsi gli anni sei cresciuto, sei diventato autonomo e quindi il miglior conoscitore di te stesso! Chi meglio di te può spiegare come ti senti fisicamente? Certo ci sono dei parametri e dei valori che comunicano qualcosa di te (il valore della spirometria, la saturazione, il peso), ma servono anche le tue sensazioni, le tue descrizioni, le tue spiegazioni. Sarebbe bene che tu “occupassi” sempre più un ruolo attivo all’interno della visita, seppur accompagnato da un tuo caregiver, ovvero il genitore, con l’obiettivo di diventare responsabile ed autonomo con l’avvicinarsi della maggiore età, dopo la quale potrai recarti da solo in ospedale o, come spesso accade, con il tuo partner.

Arrivare preparato può dunque voler dire che potresti scrivere, su un foglio, le questioni importanti che vorresti affrontare con i tuoi curanti, i dubbi e le domande. Essere “preparato” significa saper elencare quali farmaci stai assumendo, conoscendone i nomi ed i dosaggi. Oppure ancora saper dire se un farmaco ti sta dando dei benefici o se invece lo percepisci come poco efficace. Anche se hai deciso di sospendere un farmaco, o se non stai svolgendo regolarmente la fisioterapia respiratoria è bene che i curanti lo sappiano: potrebbero spiegarsi meglio un calo della funzionalità respiratoria o un aumento della tosse. Tacere o nascondere certe informazioni è controproducente oltre che dannoso per te stesso.

Curarsi, studiare, lavorare, trascorrere del tempo libero… è possibile?

È importante che le terapie giornaliere che devi assumere o effettuare siano conciliabili con le tue esigenze personali, di studio o sportive. Concorda con il tuo medico cosa riesci a fare al mattino prima di andare a scuola ad esempio, quando il tempo è cioè poco e stringato, e cosa invece si può distribuire nelle ore pomeridiane e/o serali. Condividere con il medico il tuo piano di cure quotidiano ti permetterà di renderlo più attuabile e dunque più efficace.

Saper gestire la tua quotidianità influenza la percezione delle tue capacità e incrementa la tua motivazione.

Ti sarà capitato, qualche volta, di voler approfondire una tematica, raccontare qualcosa di te, non per forza legato alla tua salute, ma poi qualcosa ti ha frenato?!

Ricorda che la visita di controllo è sempre un’occasione che va spesa al meglio; è un momento dedicato a te come persona, non solo come paziente. Avere un tempo e uno spazio adeguati sono un tuo diritto, ma è anche un tuo dovere poterli utilizzare pienamente e nella maniera adeguata. È importante poter costruire nel corso degli anni un rapporto di fiducia con i tuoi curanti, all’interno del quale affrontare argomenti o problematiche in modo trasparente, senza sentimenti di chiusura o vergogna. Solo narrando la tua storia darai al tuo medico la possibilità di conoscerti.

Fonti

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