di: Dott.sse Alessia Grande e Cristiana Risso
PsicologA Clinico e Psicoterapeuta, A.O.U. San Luigi Gonzaga (Torino)
Psicologa e Psicoterapeuta, A.O.U. Città della Salute e della Scienza (Torino)
Il vissuto della “prima” comunicazione
La comunicazione di una diagnosi di malattia in un contesto familiare è inevitabilmente un momento delicato ed inatteso e può avere profonde implicazioni non solo per la coppia genitoriale, ma per l’intero nucleo familiare.
C’è chi di quel momento preciso ricorda un’immagine, un pensiero o una sensazione fisica; ogni persona reagisce all’evento “malattia” con modalità peculiari che sono determinate da vari fattori interagenti fra loro: l’età, la personalità, le risorse economiche e sociali, le capacità adattive di fronte agli eventi nuovi ed avversi della vita.
Per tale ragione risulta di fondamentale importanza tener conto delle sfide emotive e psicologiche che la famiglia, intera, è chiamata ad affrontare.
Nello specifico, entrano in gioco criticità quali la gestione delle emozioni, il sostegno reciproco e il dover prendere decisioni importanti, magari tempestivamente, riguardanti il trattamento.
Ognuno di questi aspetti diventa una sfida complessa che richiede la necessità di una comunicazione aperta e una solida base di comprensione e condivisione tra i partner.
- Le fasi reattive
Nonostante l’unicità di ogni essere umano, esistono fasi reattive simili in tutti gli individui, tanto da far ritenere che possano essere iscritte nel patrimonio della specie (Bowlby, 1980)
Queste fasi prendono forma ogni volta che si presenta un evento negativo (in particolare nel caso della perdita di una persona cara) e sono state denominate:
- protesta
- disperazione
- distacco
- accettazione
Anche di fronte all’evento malattia il paziente e i suoi familiari percorrono queste fasi per elaborare la perdita di uno “status” e adattarsi ad una nuova situazione.
Studi ed esperienze cliniche confermano che le suddette fasi possono variare per durata e gravità da un individuo all’altro; in taluni casi il turbamento emotivo iniziale è tale da non permettere una riorganizzazione pratica e mentale, conducendo a situazioni meritevoli di attenzione clinica e di un supporto psicologico-psichiatrico.
- Il “tempo” dello screening neonatale
Nell’ambito specifico della fibrosi cistica, la diagnosi avviene attraverso il percorso di screening neonatale e dunque a pochi mesi di vita del bambino.
Questo comporta il dover gestire, nella coppia genitoriale, un evento inaspettato e non voluto.
La maggior parte delle persone non sa di essere portatore sano di una mutazione genetica, a meno che in famiglia non ci sia un caso noto e dunque la notizia, insieme al dover intraprendere un percorso diagnostico, è un fulmine a ciel sereno, dunque uno shock, un trauma.
Il tutto avviene in un momento già psicologicamente molto delicato per le figure genitoriali, nello specifico per la mamma, che sta vivendo la fase del post-parto.
Diventano essenziali in questo contesto l’aiuto e la presenza di persone significative, interne o esterne alla famiglia, che possano creare un corollario di sostegno, una rete di aiuto pratico e presenza affettuosa.
Ciò che può mettere in crisi la coppia, così come il sistema ‘famiglia’, è che spesso proprio in questa fase possono emergere le differenze nella gestione del forte carico di stress che la situazione porta inesorabilmente con sé, nonché nel modo in cui ognuno affronta la situazione.
In questa fase entrano in gioco, infatti, strategie di coping, ovvero il modo in cui le persone rispondono e fronteggiano situazioni avverse e sfidanti, individuali e differenti oltre che da confrontare con il periodo di vita vissuto.
La diagnosi di malattia avviene in un contesto ove si è affrontato un periodo importante, la gravidanza, caratterizzata da aspettative, gioie, ma anche controlli e preoccupazioni, spesso concomitanti e tangenziali ad altre importanti situazioni di vita connesse al lavoro, ad esempio, o alla famiglia di origine.
Le emozioni scatenate da una diagnosi di malattia possono essere numerose e variabili, principalmente riconosciamo la paura, l’ansia, la tristezza, la rabbia, il senso di colpa oltre che di frustrazione.
Tale carico emotivo, sommato allo stress che già la situazione porta di per sé, può alimentare ed amplificare i conflitti di coppia e familiari o far insorgere disagio psicologico in uno o in entrambi i neogenitori.
- La comunicazione al bambino
A mano a mano che il piccolo paziente cresce è suo diritto essere informato circa il suo stato di salute, con il consenso concordato con le figure genitoriali.
In base all’età e dunque alle sue competenze cognitive ed emotive, è bene che possa usufruire di incontri/colloqui con l’equipe curante con l’obiettivo di parlare della “sua” fibrosi cistica.
In genere questo avviene in età scolare, anche se ogni bambino ha le proprie competenze e la propria personalità.
Quando i bambini crescono acquistano maggior consapevolezza del loro stato, cominciano a comprendere le spiegazioni loro fornite e imparano a conoscere il proprio corpo e a metterlo in relazione alla malattia stessa (Senatore Pilleri e Oliverio Ferraris, 1989).
Spesso sono i genitori stessi a richiedere i suddetti incontri, laddove il bambino pone delle domande specifiche sulla malattia e/o si dimostra interessato ad avere informazioni specifiche.
L’onestà, la trasparenza e la chiarezza nella comunicazione sono aspetti cruciali per aiutare i bambini a comprendere la situazione e ad affrontarla in maniera funzionale oltre che adattiva.
È nell’età pediatrica che si gettano le fondamenta per una buona alleanza terapeutica tra paziente e curanti.
Nei bambini, il peso psicologico del vissuto di malattia è filtrato dal rapporto con le figure di riferimento per cui l’atteggiamento del bambino verso le cure e la malattia è fortemente influenzato da quello della madre e dal padre (Senatore Pilleri e Oliverio Ferraris, 1989).
Uno stile parentale basato sulla sensibilità, ascolto e supporto facilita un migliore stato di salute attraverso, ad esempio, ad una migliore adherence alle prescrizioni terapeutiche (Ripamonti e Clerici, 2008).
La diagnosi di malattia, per il suo carattere di intrusività può avere come “effetto collaterale” la necessità di riorganizzare le responsabilità quotidiane, aspetto non meno delicato e da affrontare in quanto può comportare dei cambiamenti importanti nella dinamica familiare.
In tale situazione è utile ricorrere al supporto psicologico professionale: l’aiuto e il supporto possono essere preziosi per riuscire a preservare il proprio benessere psico-fisico e quello dei propri familiari in momento così denso di preoccupazioni oltre che doloroso.
Bibliografia
- Quittner AL, DiGirolamo AM, Michel M, Eigen H. Parental response to cystic fibrosis: a contextual analysis of
the diagnosis phase. J Pediatr Psychol. 1992; 17(6): pp. 683-704. - Ripamonti C, Clerici CA. Psicologia e salute. Introduzione alla psicologia clinica in ambiente sanitario. Il Mulino 2008.
- Senatore Pilleri R, Oliverio Ferraris A. Il bambino malato cronico. Aspetti psicologici. Milano Cortina Editori, 1989.
- Scarzello D. La famiglia del bambino malato cronico. Età evolutiva. 2002.
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