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Durante una pandemia è facile sperimentare delle reazioni emotive potenzialmente dannose per il nostro benessere, perciò è importante avere cura della nostra salute mentale. Sono reazioni naturali, quindi normali. Quali sono, e come gestirle?

Innanzitutto, proviamo a prendere in considerazione le più comuni reazioni emotive sperimentate dalle persone di fronte ad un evento traumatico, per imparare a riconoscerle e, soprattutto, a gestirle.

L’isolamento sociale, la reclusione in casa, il senso di limitazione della libertà, della propria privacy e il peso dell’incertezza sono tutti fattori di rischio a scapito della salute mentale. Avere paura è una reazione sana e fisiologica; la paura è un’emozione primaria, fondamentale per la nostra difesa e per la sopravvivenza: se non la provassimo, paradossalmente, non riusciremmo più a metterci “in salvo” dai pericoli. Una limitata dose di paura e di allerta sono necessarie, anzi fondamentali, per potersi attivare senza perdere la lucidità ed il controllo. Il confine però fra una funzionale attivazione (che si chiama eustress o stress positivo, per aggiungere un vocabolo ai ben noti ed entrati a far parte del nostro linguaggio in Fase 1) e un eccesso di allerta con comportamenti poco lucidi e controproducenti (distress o stress negativo) è sottile. Infatti, la paura può amplificarsi e diventare panico o ansia generalizzata, per cui un pericolo specifico viene generalizzato percependo ogni situazione come rischiosa ed allarmante. Infine, la paura può prendere la forma dell’ipocondria, intesa come tendenza a eccessiva preoccupazione per il proprio stato di salute percependo ogni minimo sintomo come un segnale inequivocabile di infezione da Coronavirus. Alcuni potrebbero avere vissuto una sindrome nota come “della capanna” o “del prigioniero”, che si caratterizza per la paura di uscire da casa e che in individui predisposti, sottolineano gli esperti in materia, aumenta il rischio di sviluppare psicopatologie e disturbi dell’adattamento dopo il lockdown.

Per chi è affetto da una patologia cronica può assumere particolare rilevanza il timore del contagio, il sentirsi maggiormente vulnerabile, in balia degli eventi o dei comportamenti altrui (ad esempio nella responsabilità dell’estendere il contagio con comportamenti non consoni). In situazioni di emergenza la mente tende, inoltre, ad agire per impulsi e una delle conseguenze riscontrabili è rappresentata dall’acquisto compulsivo. In uno scenario incerto il cervello umano concentra la sua attenzione su una priorità: non rimanere senza i beni fondamentali per la sopravvivenza. Per dirla in termini tecnici, il cervello si preoccupa dei bisogni di base che sono in primis, appunto, il cibo e un riparo. Nulla importa se sono state fornite rassicurazioni sul fatto che i supermercati sono sempre riforniti: il sistema “registra un pericolo” e “scatta” l’impulso. Lo stesso discorso vale per le farmacie. La nostra mente ci porta a credere che determinati beni, come le mascherine, ad esempio, indispensabili per la nostra protezione, possano finire e ci spinge a farne scorta cercando l’accaparramento e ogni forma di informazione in merito.

L’incapacità di mantenere il solito stile di vita e la limitata (per settimane, addirittura, nulla) libertà di movimento fa precipitare verso un baratro di emozioni complesse e a volte problematiche. Per esempio, si possono accentuare il senso di nervosismo, un tono dell’umore depresso, ma anche aggressività, un pensiero negativo persistente, un senso di abbandono o sensazioni di profonda solitudine. Per alcuni, che temono o faticano con le relazioni sociali, il rimanere a casa può assumere invece aspetti rassicuranti: viene legittimata la possibilità di tenere tutti a debita distanza, il non doversi mettere in gioco ed esporsi in prima persona.

La dimensione del tempo è alterata, per alcuni rallentata, per altri quasi bloccata. I cambiamenti di vita sono stati repentini e le persone, soprattutto i più giovani, riferiscono frequentemente reazioni ansiose, di noia oltre a preoccupazioni per le proprie relazioni. Il cervello, soprattutto degli adolescenti, è maggiormente predisposto a nuove esperienze, esplorazioni e conoscenze: proprio per tale ragione è più frequente la sperimentazione della noia. Ma possono comparire anche rabbia, impotenza, assenza di desiderio di fare le cose più banali, come alzarsi dal letto o lavarsi. Occupare il tempo diventa dunque importante: allora l’uso del cellulare (WhatsApp, Instagram, TikTok e affini), sfidarsi a Fifa 20, a Fortnite o fare work-out “in compagnia’ se apparentemente sembra un modo per occupare il tempo, hanno in realtà anche uno scopo più nascosto, ovvero di mantenere una “normalità relazionale’, il legame con gli altri significativi.

Queste settimane rimarranno nella memoria di ognuno, uno di quei momenti storici che racconteremo a chi ci sarà dopo di noi e che si leggerà nei libri di storia.

La forza del legame, che quando funziona è protettivo, di sostegno oltre che generativo, mentre quando non è curato o è disfunzionale può diventare dannoso, distruttivo, è un problema che si aggiunge all’attuale emergenza. La famiglia è luogo di protezione e sicurezza, che aiuta nei momenti di difficoltà quando è costruita su basi solide, mentre là dove poggiava su basi già fragili, purtroppo porterà facilmente a conflitti, quindi a fratture. Sicuramente la limitazione della privacy individuale, oltre ai cambiamenti della quotidianità, non aiuta a sentirsi sereni ed è possibile sperimentare un senso di “invasione” del proprio spazio, specialmente se l’ambiente domestico è molto ridotto, particolarmente fastidioso. Tra le conseguenze psicologiche per effetto del Coronavirus vi può essere anche la perdita di fiducia verso le fonti ufficiali di informazione. Nei momenti di crisi si arriva al punto in cui la mente umana si “disconnette” e si perde la fiducia. Dobbiamo tenere a mente che ci troviamo di fronte ad un evento non comune: le autorità rispondono sulla base dei progressi e degli eventi registrati giorno per giorno. La sfiducia da parte della popolazione può diventare il peggior nemico, favorendo il propagarsi di un ulteriore “problema nel problema”, ovvero le teorie con sfondo paranoide o il complottismo. E’ importante, fondamentale, ridurre la “sovraesposizione alle informazioni eccessive” (per proseguire con il nuovo dizionario al tempo del Coronavirus, l’information overload”): una volta acquisite le informazioni di base su cosa accade e cosa fare, è sufficiente verificare gli aggiornamenti una o due volte al giorno, non di più, e su fonti affidabili o, al massimo, chiedendo il parere dei curanti ove si hanno dei dubbi o delle perplessità. Si hanno così tutte le informazioni necessarie per proteggersi, senza farsi letteralmente “sommergere” da un flusso di “allarmismo ansiogeno”. La “information overload” sembra poco pericolosa, razionalmente gestibile, sembra difficile rinunciare alla tentazione o alla normalità di controllare continuamente le notizie, ma in realtà è un comportamento profondamente dannoso perché capace di aumentare “in sordina” i livelli di ansia ed è, inoltre, di poca utilità dal punto di vista pratico. Invece che sovra-esporsi alle notizie è più utile fermare le fake news sui social, dove pseudo-scienziati, venditori di rimedi e teorici “della qualunque” diffondono confusione in un momento storico in cui sarebbe invece fondamentale attenersi alle indicazioni scientificamente fondate fornite da istituzioni competenti.

Pur nella capacità di affrontare nel “miglior modo possibile” la situazione, eventi inattesi come quello attuale possono ulteriormente “disturbare” e creare, proprio per le caratteristiche di imprevedibilità, la sensazione di “perdita di controllo” con reazioni diverse che vanno dalla leggera preoccupazione all’inquietudine e l’insofferenza. La perdita di controllo incrementa la ricerca di controllo (e di certezze, anche quando non ci sono) in una grande situazione di loop. Il riconoscimento, la comprensione e la verbalizzazione delle emozioni, molto frequenti e “di tutti” perché sentimenti come paura, tristezza e rabbia sono molto connesse a situazioni di stress prolungato, possono rappresentare una valida “chiave di lettura” oltre che di gestione della situazione. Non esistono emozioni giuste e altre sbagliate in quanto sono tutte naturali, ma possiamo gestirle e chiederci se possiamo sperimentare anche emozioni (e pratiche) piacevoli, e da queste trarre una specie di “ricarica” emotiva. 

Alcuni semplici consigli possono essere utili per affrontare (con regole facili da seguire) questo faticoso periodo, che sia Fase 1 o Fase 2 o altro che verrà, ricordando che il controllo delle infezioni esterne e l’uso di guanti e mascherine, ad esempio, è già pratica comune e consolidata per una persona che afferisce a un Centro di Riferimento per la Fibrosi Cistica. Quindi cercare di mantenere il più possibile le proprie abitudini quotidiane diviene una buona strategia di adattamento (si chiama coping) perché il “fare” allenta le tensioni e, soprattutto, distrae. Ma un fare ragionato e meditato, ritagliato “su misura” per sé. Allora diviene fondamentale, dal lunedì al venerdì, scandire bene gli impegni giornalieri, suddividere le attività tra i giorni della settimana e organizzare il tempo, pianificandolo. Alcuni esempi? Oltre a, banalmente, leggere un libro o un fumetto durante una pausa pomeridiana dallo studio o dal lavoro, o seguire una serie televisiva, si può optare per un corso di lingua (sempre utile per i viaggi futuri), ma anche decidere di svolgere piccoli lavoretti (su Internet gli spunti e le idee sono ovunque), cucinare o “cimentarsi” nel farlo (magari creando un tutorial da condividere con i contatti su Facebook), decidere di provare a praticare qualcosa di inusuale o semplicemente non comune e routinario, come lo scrapbooking ad esempio, ovvero il rimaneggiare fotografie, incollarle sulle pagine di un album insieme a frasi, bottoni e pezzi di tessuto, o la rock painting art, cioè il dipingere i sassi per creare oggetti che sono sia un dipinto sia delle sculture (da regalare, poi, agli amici!). Mantenere l’organizzazione e la pianificazione della giornata scandita tra studio/lavoro, cura di sé e della propria salute, una modesta attività fisica (senza dover arrivare per forza a praticare il nordic walking) e il relax/hobbies farà trascorrere più velocemente il tempo e si avranno “cose nuove” da raccontare.

Questo significa, in altre parole, una piccola ripresa di apertura verso l’esterno, un recupero di quotidianità. Ecco, dunque, che dobbiamo riabituare il nostro corpo e la nostra mente alle attività al di fuori della nostra abitazione. Tutto ciò è importante che avvenga, ma gradualmente, nel rispetto dei tempi e delle esigenze di ognuno. I cambiamenti bruschi e repentini sono spesso rischiosi per l’equilibrio psichico; meglio procedere con gradualità, inserendo nel proprio planning settimanale uno o due impegni di carattere sociale. Tra le altre strategie utili nel periodo Covid-19, un posto importante è rappresentato anche dal mangiare nel modo più regolare possibile, senza incaponirsi nella rigidità e, fondamentale, non invertire i ritmi sonno-veglia per non rischiare poi uno sforzo “sovra-umano” per tornare alla normalità! Poi arriva il week-end: premiarsi in qualche modo è importante. Come? Semplicemente dormendo di più del solito, prolungando il tempo di una doccia o di un bagno rilassante, chiamando un amico/a o il fidanzato/a e raccontandogli come ci si sente o come ci si è sentiti, anche solo guardando la serie tv preferita. Ma si può anche organizzare una telefonata di gruppo con gli amici, scegliere un tema e condividere una call con quelli più stretti o organizzare un Netflix Party. Nel week end si può anche oziare qualche ora sul divano, per non dimenticare che sdrammatizzazione e umorismo aiutano a distanziare gli eventi e le situazioni stressanti. Una risata, infatti, è catartica, liberatoria e aiuta ad allentare la tensione! Riconoscere e condividere con gli amici le difficoltà, siano esse emotive, contestuali o organizzative, aiuta se stessi e anche l’altro, struttura e fortifica la base dell’amicizia stessa oltre che del legame. Sì, il famoso legame del quale si parlava prima, che temiamo di perdere con la lontananza fisica e il distanziamento forzati.


 

Inoltre, ricordati che al Centro hai un alleato nella gestione degli aspetti emotivi: è la tua équipe. E, fra essi, anche lo psicologo.




Se noti che qualcosa in te è cambiato, se ti senti in difficoltà, non attendere, non banalizzare e non posticipare (si chiama procrastinare): puoi rivolgerti al tuo specialista o chiedere ai tuoi curanti di farti contattare per un confronto con l’esperto “in materia”.

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