Psicologo Clinico e Psicoterapeuta, A.O.U. San Luigi Gonzaga (Torino)
Psicologa e Psicoterapeuta, A.O.U. Città della Salute e della Scienza (Torino)
Il termine deriva dal latino (“resilire”, da “re-salire”, saltare indietro, rimbalzare), per esprimere la capacità dell’individuo di fronteggiare una situazione stressante, acuta o cronica, ripristinando l’equilibrio psico-fisico precedente allo stress e, in certi casi, migliorandolo.
Nell’ambito della scienza dei materiali, “resilienza” indica la proprietà che hanno alcuni elementi di conservare la propria struttura o di riacquistare la forma originaria dopo essere stati sottoposti a schiacciamento o deformazione. In biologia e in ecologia la resilienza esprime la capacità di un sistema di ritornare a uno stato di equilibrio in seguito ad un evento perturbante.
In psicologia la resilienza definisce la capacità delle persone di riuscire ad affrontare gli eventi stressanti o traumatici e di riorganizzare in maniera positiva la propria vita dinanzi alle difficoltà. In altre parole consente l’adattamento alle avversità. È dunque la capacità di autoripararsi dopo un danno, di far fronte, resistere, ma anche costruire e/o ricostruire.
Essere resilienti non significa solo saper opporsi alle pressioni dell’ambiente, ma implica una dinamica positiva, una capacità di andare avanti, nonostante le crisi o un momento avverso. Generalmente, con il trascorrere del tempo, le persone trovano il modo di adattarsi a situazioni oggettivamente drammatiche come incidenti, lutti, calamità naturali ed eventi traumatici in generale.
Essere resilienti non significa che la persona non si senta in difficoltà o non esperisca una certa quota di stress; il dolore emotivo, la tristezza e altre emozioni negative sono frequenti e comuni in coloro che vivono delle avversità o delle situazioni traumatiche.
La resilienza non è un tratto stabile e immodificabile della personalità, ma implica una serie di comportamenti, pensieri e atteggiamenti che possono essere appresi, migliorati e sviluppati in ciascun individuo.
- Quali caratteristiche ha una persona resiliente?
Le persone più resilienti e che quindi spesso riescono meglio a fronteggiare le difficoltà della vita, presentano:
- Tendenza a lasciarsi coinvolgere nelle attività, atteggiamento proattivo ed impegnato;
- Ottimismo. La disposizione a cogliere il lato buono delle cose è un’importantissima caratteristica umana che promuove il benessere individuale e preserva dal disagio e dalla sofferenza fisica e psicologica;
- Gli individui resilienti trovano in loro stessi, nelle relazioni umane e nei contesti di vita quegli elementi di forza per superare le avversità, definiti fattori di protezione, contrapposti ai fattori di rischio, che invece diminuiscono la capacità di sopportare il dolore.
Tra i fattori di rischio che espongono a una maggiore vulnerabilità agli eventi stressanti, diminuendo la resilienza, secondo Werner e Smith (1982) troviamo:
- I fattori emozionali (scarsa autostima, scarso controllo emozionale). Avere una bassa considerazione di sé ed essere molto autocritici, infatti, conduce a una minore tolleranza delle critiche altrui, cui si associa una quota maggiore di dolore e amarezza, aumentando la possibilità di sviluppare sintomi depressivi;
- I fattori interpersonali (rifiuto dei pari, isolamento, chiusura);
- I fattori familiari (bassa classe sociale, conflitti, scarso legame con i genitori);
- I fattori di sviluppo (ritardo mentale, deficit attentivi, incompetenza sociale).
Tra i fattori protettivi, invece, gli stessi autori ne individuano di individuali e familiari. Tra i primi, l’essere primogenito, un buon temperamento, la sensibilità, l’autonomia unita alla competenza sociale e comunicativa, l’autocontrollo, la consapevolezza e la fiducia che le proprie conquiste dipendano dai propri sforzi.
I fattori protettivi familiari comprendono l’elevata attenzione riservata al bambino nel primo anno di vita, la qualità delle relazioni tra genitori, il sostegno alla madre nell’accudimento del piccolo, il supporto di parenti o comunque di figure di riferimento affettivo.
- Resilienza e Fibrosi Cistica
La malattia cronica a volte può mette di fronte alla limitatezza dell’essere umano. Il senso che si attribuisce alla vita rischia di venir messo in discussione nel momento in cui l’individuo vede la malattia come minaccia alla realizzazione di propri progetti, all’adempimento di alcuni compiti e ruoli, al raggiungimento di obiettivi in ambito professionale, familiare, affettivo.
Per accettare la malattia cronica occorre accogliere gli eventuali propri limiti e andare oltre la domanda “Perché proprio a me?”, ricercando in modo proattivo nuovi equilibri e adattamenti utili a mettere in campo le proprie risorse e potenzialità.
Un valido punto di partenza, all’interno del cammino verso la resilienza, può essere il darsi obiettivi diversi e raggiungibili, trovare nuovi ruoli e attività, dando quindi un nuovo significato alla propria presenza nel Mondo senza rimanere intrappolato in un’unica identità, quella di malato. Spesso tutto ciò che è stato descritto non è semplice da mettere in pratica, ma condividere questi contenuti con un professionista può essere orientante e strategicamente efficace.
- Interventi applicativi basati sulla resilienza
Il lavoro terapeutico basato sulla resilienza, secondo una serie di riferimenti presenti in letteratura, si basa sulla possibilità dell’individuo di operare delle “trasformazioni cognitive” in momenti critici, definiti turning points (punti di svolta), all’interno di un percorso di recupero da eventi ed esperienze stressanti. La possibilità per l’individuo di operare tali trasformazioni andrebbe interpretata come un marker di resilienza, rappresentando un adattamento a circostanze avverse.
In ottica preventiva diviene fondamentale implementare precocemente interventi volti a migliorare le capacità di resilienza, in generale le abilità socio-emotive, per prevenire la vulnerabilità a decorsi psicopatologici nell’infanzia e nell’età adulta.
Gli studi di ricerca indicano che gli individui possono apprendere delle competenze per migliorare la loro resilienza. Se in studi più datati i bambini resilienti venivano definiti come remarkable individuals possessing extraordinary strength, ricerche più avanzate e contemporanee hanno evidenziato che la resilienza è un fenomeno comune derivante da uno sviluppo sano dal punto di vista biologico, sociale ed emotivo nelle famiglie, scuole e comunità ben funzionanti.
Non è di dominio di pochi privilegiati, ma potenzialmente di tutti gli individui. Nel modello di Matsen viene descritto come la resilienza emerga dalla vita di tutti i giorni come un processo che regola lo stress della vita quotidiana: la capacità di reagire con successo alle avversità e alle situazioni più stressanti si costruisce nel tempo affrontando le piccole difficoltà quotidiane.
In letteratura si riscontrano diversi programmi focalizzati sulla promozione della resilienza negli adulti, come ad esempio il Promoting Adult Resilience (PAR) Program (Liossis, Shochet, Millear, Biggs, 2009) e il REsilience and Activity for every DaY (READY) Program (Burton, Pakenham, Brown, 2010).
Fonti
- LACROIX A. – J.P. ASSAL, Educazione terapeutica dei pazienti. Nuovi approcci alla malattia cronica, Edizioni Minerva Medica, Torino, 2005.
- Masten, A. S. (2001). Ordinary magic: Resilience processes in development. American psychologist, 56(3), 227.
- Masten, A. S. (2014). Global perspectives on resilience in children and youth. Child development, 85(1), 6-20.
- Liossis, P.L., Shochet, I. M., Millear, P. M., & Biggs, H. (2009). The Promoting Adult Resilience (PAR) Program: The effectiveness of the second, shorter pilot of a workplace prevention program. Behaviour Change, 26(02), 97-112.
- Burton, N. W., Pakenham, K. I., & Brown, W. J. (2010). Feasibility and effectiveness of psychosocial resilience training: a pilot study of the READY program. Psychology, health & medicine, 15(3), 266.
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